«Chi beve Kranebet, respira montagna» (e tutto questo grazie al ginepro) 16 Settembre 2016 È il 1929 quando viene prodotto per la prima volta Kranebet, amaro bianco ottenuto dalla distillazione di bacche di ginepro, genziana e radici alpine. Kranebet diventa subito il prodotto di punta della Distilleria Rossi e un simbolo dell’altopiano di Asiago. Il nome – con quel suono secco, incisivo – deriva dal cimbro kraneweta (letteralmente: grani amari): proprio così, infatti, in un tempo antichissimo, le popolazioni di lingua tedesca chiamavano il ginepro. Le virtù di questa pianta sono note da secoli. In cucina, anzitutto. Le bacche hanno un sapore acidulo e smorzano il gusto intenso di cibi impegnativi come la selvaggina e i crauti (“pulendo” la bocca). Ottime anche per insaporire piatti a base di patate o il pesce al cartoccio. Marco Gavio Apicio, famoso gastronomo dell’Antica Roma, lo considerava indispensabile nell’armamentario di un cuoco, indicandolo come valido sostituto del pepe. Ma il ginepro è stato ed è apprezzato anche per le sue proprietà medicamentose: l’abate tedesco Sebastian Kneipp suggeriva, per l’influenza, questa terapia naturalissima: far bollire dentro una pentola bacche e rami di ginepro; riscaldare una coperta con i vapori sprigionati dalla pentola; infine avvolgersi nella coperta (e respirare, respirare, al calduccio). Massaggiare (o meglio: farsi massaggiare) il corpo con l’olio essenziale di ginepro aiuta a rilassare i muscoli e a prevenire i crampi (oltre a essere una pratica decisamente piacevole). Il legno, molto profumato (ha un caratteristico odore resinoso) viene utilizzato per affumicare i salumi (avete presente il rinomato speck di Asiago?) e anche per aromatizzare il pane: a questo scopo, viene introdotto nei forni a legna, durante la cottura. Con il legno di ginepro, un tempo, si costruivano anche posate e utensili da cucina: il mestolo per girare la polenta, per esempio, che si impregnava, così , di un aroma delizioso.